PER LA COSTRUZIONE
DI UN NUOVO E GRANDE
PARTITO COMUNISTA

APPELLO APPROVATO DALL'ASSEMBLEA NAZIONALE
DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
Roma 3 e 4 maggio 1991

 

Le ragioni che motivano la nascita di un nuovo Partito Comunista sono scritte nel bisogno di non rassegnarsi allo stato di cose presenti, di non arrendersi alle culture che santificano il profitto, il mercato e le merci, di non subire il capitalismo e le sue leggi come se fossero un destino ineluttabile. L'ideologia della "fine della storia" pretende di abolire dall'orizzonte comune ogni idea e pratica di antagonismo alle attuali forme di dominio: ma nessuna ideologia riesce ad occultare la realtà drammatica di un mercato mondiale che spinge interi continenti verso la deriva del sottosviluppo e della fame, che nella sua logica dissipativa delle risorse naturali mette a repentaglio la vita stessa del pianeta, che concentra i poteri in sedi sempre più elitarie e separate dalla gran parte dell'umanità, che persino nel cuore delle grandi metropoli occidentali riproduce la spirale disperante dei ghetti e delle esclusioni, che porta nel grembo delle proprie feroci oggettività il seme dell'intolleranza razzista e della violenza contro ogni forma di diversità.

Nel nome del socialismo sono stati edificati regimi ingiusti e dispotici, che hanno espropriato i popoli e le classi lavoratrici dell'Est degli strumenti fondamentali della propria autonomia e della propria liberazione. Il crollo di quei regimi non cancella l'idea e il bisogno di comunismo. Al contrario, l'assorbimento di quelle società nel mondo occidentale riapre oggi ad Est una acutissima questione sociale e rimette in campo nuovi soggetti di opposizione anticapitalista.

La presunta razionalità del mercato e dell'Occidente, il cui trionfo è stato universalmente celebrato all'indomani del crollo del muro di Berlino, non ha partorito un mondo pacificato e più giusto. Al contrario, anche la guerra è stata rilanciata - nella emblematica vicenda del Golfo Persico - come "normale" strumento di risoluzione dei conflitti internazionali. Bisogna reagire con forza al clima bellicista e reazionario che ha contornato la "guerra santa" del Nord del mondo contro il suo ex-vassallo Saddam Hussein: occorre costruire movimenti di massa per una nuova lotta pacifista, che parli oggi la lingua dei curdi e dei palestinesi, che sappia criticare nel profondo le tendenze imperialistiche e gli assetti del mondo, che combatta il monopolarismo statunitense e che, dinanzi allo sfaldamento del Patto di Varsavia, chieda lo scioglimento della Nato e un vero e generalizzato disarmo.

Un vento di destra soffia sull'Italia senza incontrare una adeguata risposta della sinistra. In verità, già da tempo la sinistra italiana ed europea appare ostaggio della logica delle compatibilità del sistema: i balbettii dell'Internazionale Socialista nei giorni del fuoco contro l'Iraq sono stati la prova di una subalternità assai grave. Oggi siamo dinanzi ad un coro consociativo che chiede di seppellire la prima Repubblica e di por mano a riforme istituzionali ispirate alle filosofie neoautoritarie del decisionismo e della governabilità. L'altra faccia di questa tendenza antidemocratica è la stretta sociale che si annuncia come complessivo smantellamento di ciò che resta dello stato sociale a vantaggio di una selvaggia privatizzazione. Questi processi alimentano ulteriormente il divario Nord-Sud, e rendono sempre più drammatica la condizione di dipendenza, di degrado e di diffusa illegalità del mezzogiorno del Mezzogiorno d'Italia.

È urgente allora, ridare ragioni e risorse ad una lotta di opposizione sociale e politica, per costruire una diffusa controffensiva di libertà, di allargamento della partecipazione popolare. Anche la crisi del sindacato, e la sua involuzione burocratica e corporativa, chiedono un impegno di lunga lena per la ricostruzione di un punto di vista di classe che unifichi e rilanci le forze del mondo del lavoro. Anche la centralità dei saperi dentro i processi di modernizzazione capitalista va messa a fuoco con un rinnovato impegno critico, capace di interloquire con le domande antagoniste dei nuovi soggetti giovanili e studenteschi.

Ecco, compagne e compagni, una risposta alla domanda che dice: perché comunisti? Comunisti non per nostalgia di una storia gloriosa ma anche carica di errori, ma comunisti perché c'è bisogno - qui e ora - di una spinta radicale di trasformazione. Il mondo della cosiddetta modernità e delle grandi innovazioni tecnico-scientifiche è meno libero e meno felice di quanto non appaia: inedite forme di asservimento al profitto e alle macchine convivono con vecchie e nuove disperazioni e alienazioni. La lotta dele donne per liberarsi dai vincoli di un universo pensato e costruito al maschile pone a tutti noi domande esigenti e ci spinge ad una grande innovazione di linguaggio e di pratica politica.

Per questo rivolgiamo alle forze vive della società italiana, alle lavoratrici e ai lavoratori, alle giovani generazioni, agli intellettuali, un appello forte e appassionato a lavorare con noi per la costruzione di un nuovo e grande Partito Comunista. Un partito non piramidale, antidogmatico, aperto al nuovo, pienamente democratico e pluralistico, non violento e di massa. Un partito al servizio di una immensa speranza di cambiamento.